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Analogico! di Pralina Tuttifrutti

November 12th, 2011 Comments off

Articolo tratto dal blog di Pralina Tuttifrutti superpralinix che è in via di estinzione a causa della negligenza dei gestori della piattaforma spilnder. Se volete potete lasciare un commento in proposito qui:

http://superpralinix.splinder.com/

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fonte http://superpralinix.splinder.com/post/24493276/analogico

ululato da Pralina alle ore 21:07 mercoledì, 27 aprile 2011

Dedicata a Roberta WJ Meatball, Mat Pogo, Morga Cosimo e Freddie Villarosa

Noi che abbiamo vissuto l’analogico, l’imperfezione ruvida del disco graffiato, la polvere depositata nei solchi della vita, le smagliature delle videocassette, le onde che rompevano la superficie del video proprio dove la cassetta osava iniziare.
La puntina del disco in vinile succoso, affondava nella melassa di liquerizia, alzandosi e abbassandosi con levità ed eleganza in quelle onde nere, restituendo un suono a volte “disturbato” da un sottile fruscio. Sottile o no, era sempre un non so che. La “premiata friggitoria” così io la chiamavo, non mi disturbava, anzi, mi ipnotizzava, rendeva il suono umano. Così umano come non è più stato, perché la Sacra Perfezione Unita ha preso il sopravvento, cercando di eliminare tutto ciò che è imperfetto, impuro, asimmetrico, dispari, differente e diverso perché non omologato e non conforme.
Eppure in quelle pieghine, in quelle smagliaturine che increspavano appena l’inizio dei vhs a volte, c’era poesia.
C’era poesia nelle cassette che per cazzi loro rallentavano la corsa, storpiando appena il suono, perché in macchina, andando alle manifestazioni o a cercare un posto per farci una passeggiata le avevamo ascoltate talmente tante volte che.
Io mi divertivo quando la cassetta cominciava ad essere usurata. A volte i nastri si “incartavano” e si avvolgevano, creando musica ex novo.
A volte, se non era abbastanza, mettevo i dischi a 78 giri, anzi, li spingevo oltre con il dito indice, poi li registravo così. Era bello sentire “Sebben che siamo donne” a 78 giri. Ma anche “Tu scendi dalle stelle” perché no.
Mi piaceva stampare le foto in bianco e nero nella camera oscura, perché c’era della magia nel vedere le immagini che si formavano nel buio. E non importava se la luce rossa si era poi fulminata, e se mancava il timer, e se.
Man Ray, sì certo, le manrayzzavo, le sgranavo, ci mettevo sopra delle mascherine, dei centrini di pizzo, le viravo color seppia, le elaboravo con la china colorata.
Le foto le lavavo tutte nell’acqua corrente, e le attaccavo alle piastrelle del bagno mentre mio marito dormiva, ed ero come febbricitante e felice.
Erano imperfette? Anzi, meglio, erano proprio belle da essere ritoccate poi col pennarello.

Mi piacevano le fotocopie, non le copie laser, proprio le fotocopie, quelle belle grezze, coi bordi un po’ slavati e nemmeno tutte uniformi. E che dire del ciclostile, e poi delle fanze fatte con le fotocopie. Avete mai fatto una fanzine? Sapete cosa vuol dire perdere notti a graffettare fotocopie assurde, di donne coi baffi disegnati, che alla fine vengono anche un po’ storte? No… peccato…
A volte appoggiavo la faccia al vetro, di nascosto dalla padrona della fabbrica, o della cartolaia, e me la fotocopiavo. Mi piaceva vedere la mia faccia fotocopiata. Sono una figa della madonna, lo sappiamo io e lo specchio, che non è mai perfettamente pulito.
A volte la bellezza è nelle cose che ti portano oltre, in un graffio, in un’anomalia, in un disturbo.
Ecco, quei vinili, quelle cassette, quei vhs, quelle stampanti che non funzionavano mai perfettamente, che ti facevano sempre una “sorpresa”, erano disturbati.
Non mi piacciono le cose uguali, perfette, omologate, non amo le superfici troppo liscie, le donne coi seni rifatti, le pance assenti, l’invecchiamento cutaneo da combattere, le immagini levigate quando non esprimono nulla. Non ho mai preso tranquillanti, non ho mai pensato alla prova costume, non mi frega un cazzo del botox o di perdere quei chili che ho fatto tanta fatica a guadagnare. Preferisco avere un margine per sognare, immaginare oltre, e ancora, per elaborare, ricamare proprio a partire da una “imperfezione” la mia vera bellezza.

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“Stuzzicadenti Cadenti” Patrizia Diamante